I muri che dividono. Che diventano frontiera,
interrompendo la continuità degli spazi. Innalzati per bloccare e non far
oltrepassare; per delimitare idee, pensieri, sentimenti. I muri che marcano
confini – fisici e mentali – divenendo barriera, opposizione, ostruzione. I
muri che hanno attraversato la storia e gli oceani, disegnando confini
geopolitici. Ma non esclusivamente. Perché i muri sono anche tele che
immortalano voci e tratti delle città attraverso i graffiti; palinsesti visivi
dell’architettura e degli spazi urbani; sedimenti di pietra, mattone, cemento,
dove le stratificazioni sociali hanno attraversato le ere. Bisogna partire da
questa premessa per comprendere il significato del “Muro della gentilezza” o
meglio “Wall of kindness”, per ripercorrere le sue origini e il valore che noi
di Laboriusa abbiamo voluto dargli. Un luogo simbolo che diventa quinta-scenica
per scavalcare il suo significato materiale e trasformarsi in baluardo dove
appendere visioni. Un angolo che non nasce per diventare “mercatino solidale
dell’usato” (come qualcuno vuole
intenderlo) ma che si trasforma in messaggio nel momento esatto in cui
viene collocato e condiviso. Una comunicazione forte in contrapposizione al
silenzio imperante o, al contrario, alle grida avvilenti di questa società che
ha confuso il bene dal male, i valori dai disvalori. Da qui il suo nome, ché
vuole incitare e invitare allo scambio, nobilitando l’interazione tra la gente,
tra il “noi” e il “voi”, chiunque essi siano.
Catania come Uppsala? Perché no. Tentare per credere. Provare per scorgere
quanta civiltà non si eclissa all’ombra del Vulcano; quanta cordialità,
educazione, tolleranza, solidarietà e umanità può accendere la speranza in questo
grigio presente. Dire, fare, sperimentare. Due settimane fa la notizia dell’ennesima
installazione nel Paese più civile d’Europa – già testata e ben accolta da
popolazioni di tutto il mondo – ha fatto il giro del web così come accade (per
fortuna!) per tutte le buone notizie che affiorano in un mondo dove la cronaca
macina chilometri digitali. Una lettura veloce; un pensiero fugace – “ma che
bella quest’idea…” – un paio di telefonate per organizzare tutto in tempi
brevi, ora che il freddo congela i sensi e a volte anche le coscienze. Con
gentilezza, appunto. Perché Francesco Basile e Angelo Caruso di Format si sono
fatti in quattro per realizzare la struttura; Claudio di Key-tech ha allestito
i banner, Carmelo Bella ha assemblato il tutto, Maurizio e Giacomo hanno
montato i pezzi, uno per uno. Poi quei giovani creativi e propositivi di I
Press hanno raccolto tutti gli indumenti più cari, quelli che non si utilizzano
più, ma permangono nell’armadio perché sono un ricordo da non mollare.
Un’operazione lampo, che ha visto coinvolti anche Nuccio e Pippo, che in men
che non si dica hanno tracciato la linea tra un ufficio e l’altro del Comune, per
indirizzarci e aprirci la strada nel tortuoso percorso della burocrazia (a
proposito, siamo autorizzati fino al 28 febbraio, se quest’informazione dovesse
servire a qualcuno). Eccolo improntato, pink più che mai, carico di amore ed
emozione, in Corso Sicilia, lì all’angolo con Piazza della Repubblica, dove la
miseria spesso fa il paio con il degrado. Eccolo il muro che diventa ponte per
unire: innalzato dal basso, senza troppo clamore, che poi è nato spontaneamente
sul web grazie a chi ha partecipato attivamente all’impresa. Questo muro vuole
narrare storie colorate, poetiche e allegre, a cui appendere indumenti caldi in
buone condizioni per aiutare i senzatetto ad affrontare l’inverno e i meno fortunati
a trovare abiti dignitosi. È un’azione di sensibilizzazione, che cerca di
rimodulare il concetto stesso di “charity”. Un’iniziativa che vuole scaldare il
cuore proprio quando non batte il sole, caratterizzata da una semplicissima
struttura di pareti fucsia che racchiudono messaggi di civiltà: “L’amore è calore”, “Non toccare se non sei tu la persona da
aiutare”; “Donare amore fa bene al
cuore”. Un piccolo riparo dall’ostilità che si respira in questa
contemporaneità,
dove le persone possono facilmente donare cappotti, coperte e indumenti caldi
in buone condizioni, seguendo le
logiche di mutuo-aiuto, con l’obiettivo di costruire modelli e sistemi di
collaborazione spontanea tra cittadini. Uno strumento per leggere tra le righe
della nostra società, che oggi ci ha mostrato il volto bello e pulito del
capoluogo etneo, perché c’è chi ha dato e c’è chi ha ricevuto nel pieno
rispetto delle poche regole imposte dal decoro e dalla voglia di allungare una
mano. Un muro che in questi dieci giorni è stato protetto, rispettato e anche
“sollevato” da qualche animo gentile dopo la bufera di vento che durante
Sant’Agata l’ha scaraventato qualche metro più in là. Come sempre c’è anche chi
lo ha denigrato, relegandolo ai margini della demagogia e dell’indifferenza, ma
per fortuna sono solo sterili e sussurrate voci di chi ha paura, paura di
condividere, di abbandonare il confortevole deserto del proprio benessere per
aprirsi al fertile terreno della solidarietà. Lo chiamano “urban charity
works” (opera di beneficienza urbana), ma per noi è soltanto un modo
per dire che ci siamo, che insieme a tantissime associazioni che si spendono
quotidianamente, vogliamo mutare il dna di questa città senza scalare montagne,
ma camminando a piccoli passi su sentieri alternativi. Provare a
cambiare le logiche, avvicinare le persone come mai prima d’ora, partendo
proprio dai piccoli gesti che sappiano riscoprire il valore della comunità e
dello stare insieme, linkando e viralizzando buone prassi e innovazione
sociale. Solo come la #gentelaboriusa sa fare.
Assia La Rosa

0 Comment